FICHI D’INDIA A COLAZIONE
Non vi parlerò di pinete né di estesi parchi di abeti. Ma solo di un giro di bambini intorno alla madre. E’ cresciuta così gran parte della mia generazione, a pane e fichidindia la mattina, con probabile replica serale e qualche rischio di corpo.
Era il frutto dei poveri, che ha consentito però di far crescere intere generazioni di ragazzi, i quali non avrebbero avuto altro modo per sfamarsi. C’era in quei frutti - al costo di venti centesimi l’uno, anche meno i più piccoli - una fragranza di sole e di roccia, delle nostre zone così secche e calcaree.
Mia madre mi teneva particolarmente a bada quando, seduta su uno sgabello, li nettava della corteccia e si trovava sotto gli occhi la mia mano, ben più di quella dei miei fratelli.
Certamente i giovani di oggi non potranno capire, ma quel frutto così generoso è gonfio di poesia e di storia. Pensate che i nostri fichidindia hanno perfino partecipato, loro malgrado, alla Grande Guerra, salvando dall’assalto nemico la nostra città, il giorno che le navi austriache li confusero, per il loro colore verde e marrone, con un assembramento di soldati pronti alla difesa. Così, invece di bombardare Manfredonia, vomitarono sulle nostre povere piante spinose tuoni e sfracelli dalle bocche di fuoco.
E allora, se tutto questo è vero, signor sindaco, assessore così dedito ai lavori pubblici, fateci davvero sognare; cosa aspettate a salvare le nostre sugose pale, ricolme di memoria e tradizione, dalla distruzione che incombe? Ponete attenzione al canalone che conduce a Via Canne, in cui vi sono ancora queste amiche della nostra infanzia, in attesa di un vostro atto d’indulgenza; di essere recintate con rustici steccati, e appena illuminate con pochi lampioncini; sono perfino pronte a dire di sì a qualche bella panca di legno, sulla quale si conceda al vecchio la rimembranza e agli innamorati languida intimità.